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Bella Baxter è la reincarnazione di una donna morta a cui è stato impiantato il cervello del feto che portava in grembo. Lo scienziato Godwin Baxter (significativamente chiamato “God” da Bella) le ha dato questa seconda vita nel suo laboratorio, per poi chiuderla nel mondo protetto della sua enorme casa aristocratica e studiarla. Bella non ha memoria della sua vita precedente, deve apprendere tutto da capo e riempire il suo cervello di neonato di nozioni e codici.

Le premesse sono decisamente gotiche, con l’idea di fondo di Frankenstein che fa da scheletro alla narrazione e con al centro le tematiche della creazione e dei limiti dell’esistenza; ma la pellicola prende una deriva tutta sua, affiancando a questi elementi classici la messa in scena della scoperta di sé attraverso il confronto con il resto del mondo. Quella di Bella Baxter è una coming of age astratta dai suoi presupposti base: il percorso di crescita non è quello di una bambina o di un’adolescente in un contesto che la mette alla prova in quanto tale, ma è quello di una donna o, meglio, di un corpo adulto con le facoltà mentali di un bambino appena nato, che si affaccia al mondo con un’ingenuità e una curiosità sfrenate. Proprio la sua sete di esperienza conduce Bella sulla strada della ribellione: rompere gli schemi che il suo creatore cerca di imporle è una necessità innata, che la rende aperta ai valori più profondi della vita e genuina nel farli suoi.

Non ci sono coordinate temporali né scenari realistici: il tutto ambisce a conferire un senso di atemporalità a un messaggio universale, perché estratto da una letteratura classica e riletto in chiave contemporanea. Il chiaro riferimento all’età vittoriana è trasfigurato in uno stile fumettistico, esagerato e stravagante nella scenografia, come nei costumi, ed è sfruttato dunque per la sua valenza simbolica. L’età vittoriana è l’epoca delle costrizioni sociali per eccellenza; è l’archetipo di una società basata su un complesso sistema di regole forzatamente moralistiche, che non lascia spazio alla libera espressione di sé. Lo dimostrano quegli abiti che modellano e ingabbiano il corpo femminile, come anche quello maschile, secondo canoni estetici preconfezionati, che qui diventano quasi delle caricature.

Gli scenari fiabeschi, i cieli viola e rosa pastello e gli interni luminosi, colorati e bizzarri contribuiscono a rendere la suggestione del mondo agli occhi di Bella; ma, appunto, non è che una suggestione: anche la realtà caleidoscopica di Povere creature! è il frutto di un infausto meccanismo di nascita, sofferenza e morte, contro cui la protagonista deve necessariamente sbattere la faccia. Lei stessa non è che un esperimento gettato nell’esistenza suo malgrado, che deve fare i conti con chi l’ha creata. 

La narrazione è però così effervescente da lasciar intendere una visione tutto sommato compiacente della vita, che ne include le assurde e contraddittorie sfumature. Nonostante lo strazio e lo squallore con cui Bella viene a contatto, la sua esperienza è percorsa da una scarica elettrica di piacere, stupore e calore umano. Di volta in volta, è in grado di assorbire tanto la malinconia e il dolore, quanto i momenti di leggerezza e comicità che caratterizzano le persone, in un percorso di progressiva consapevolezza e accettazione della tragicomica condizione umana.

Il merito non va solo alla sceneggiatura, ma a una regia creativa e sapientemente adattata all’intento del film, regia che rende armonica la fusione tra costume, scenografia e musica. Come le melodie scarne, fatte di suoni acuti e a volte stridenti, così l’uso frequente dei fish-eye restituisce la visione del mondo attraverso gli occhi di Bella, una visione distorta e non sempre chiara, ma non per questo minacciosa.

Le inquadrature incorniciate come fossero l’occhiello di una porta ricordano l’occhio meccanico e latente di una telecamera che controlla costantemente la vita delle persone e, più nello specifico, la lente dello scienziato che osserva il prodotto delle sue ricerche, la creatura (l’individuo) libera di agire e affermarsi, pur limitata dall’ambiente controllato dell’esperimento scientifico (la società). 

Le scelte stilistiche non possono prescindere dalle incarnazioni dei personaggi principali: passando per l’interpretazione esplosiva di Emma Stone nel ruolo di Bella Baxter, non si può non citare quella di Mark Ruffalo, che interpreta la macchietta ironica dell’aristocratico Duncan Wedderburn, e quella di Willem Dafoe, che impersona God, il creatore di Bella. Proprio il suo personaggio è la definitiva reinterpretazione dei temi romantici, in quanto figura paterna e generosa, che ha subito in prima persona, sul suo corpo, gli esperimenti del padre scienziato (lui sì, pazzo). Lui stesso è vittima del meccanismo dell’esistenza e non è dipinto come unico e diretto responsabile della sofferenza di Bella: se creando una vita God ha compiuto un atto di egoismo, almeno lo ha fatto consapevole dell’altro lato della medaglia, quello dello splendore che la vita può riservare.

Sara D. G., 5 D classico (a.s. 2023-24)